Saperi e sapori

Il gattò monumentale del Campidano di Cagliari

di Alessandra Guigoni

12/03/2011

Alessandra Guigoni, l’autrice dell’articolo, e il gattò monumentale del Campidano di Cagliari

 

 

Il gattò (o gatou, probabilmente dal francese gâteau) è un croccante di mandorle tostate e zucchero di proporzioni e fattezze monumentali, rappresentante chiese, cattedrali, ostensori. Allo stato attuale delle ricerche le origini si possono situare almeno al XVII secolo, a interpretare bene la dichiarazione di Martin Carrillo, che parla, agli inizi del Seicento, di “Confituras de azúcar y miel, también hechas como en Valencia; hazen frutas de pasta y mil [miel, sic], y pasta de Marçapanes, con muchas labores muy vistosas y curiosas, que no la hazen en Castilla, ni Aragon”.

Non faccio fatica ad immaginare che quei prodotti dolci, a base di mandorle, zucchero e miele, definiti vistosi e curiosi, mai visti prima dal visitore reale Carrillo, fossero simili ai dolci sardi attuali.

Popolarmente i gattò vengono chiamate “castelli”, Grazia Deledda le chiama piccole costruzioni moresche ne La via del male: “Era la vigilia delle nozze di Maria. La facciata e le stanze della casetta erano state imbiancate e messe a nuovo. Nella cucina le masserizie splendevano, accuratamente pulite; le casseruole sembravano d’oro e i coperchi d’argento, così almeno affermava zia Luisa.[...] Nel focolare e sui fornelli le caffettiere grillavano, nelle stanze superiori della casa spandevasi un forte profumo di dolci e di liquori; sui tavolini, sui letti, sulle sedie, su tutti i mobili stavano grandi vassoi contenenti torte dai vivi colori e gattòs, specie di piccole costruzioni moresche di mandorle e miele. Nel cortile e nelle stanze terrene era un continuo viavai di gente; ogni momento il portone s’apriva per lasciar entrare donne in costume, attillate, che recavano sul capo torte e gattòs e soprattutto corbe d’asfodelo ricolme di frumento, dal cui oro polveroso emergevano bottiglie di vino rosso e giallo turate con mazzolini di fiori”.

Il gattò degli sposi veniva preparato un po’ in tutta l’Isola, Carloforte compresa, in occasione di matrimoni soprattutto, ma anche feste importanti e feste patronali, comunitarie, come accade ancora adesso nella festa di San Giovanni Battista a Quartu Sant’Elena o nel Matrimonio selargino a Selargius appunto.

E' interessante cercare di capire la magia dei gattò, il making of per dirla con parole di moda, capire l'enorme mole di lavoro che c'e' dietro ad una settimana di preparativi, capire come si spennella il gattò con la glassa (sa cappa) sino a farlo diventare candido, intuire la perizia che c'e' dietro alla costruzione delle forme attraverso gli stampi di legno (su mollu) e di rame, e l'assemblaggio delle parti per renderla una complessa costruzione fatta di piani, ringhiere, colonne, cupole, croci, guglie, ostensori, il tutto decorato da ghiaccia reale, fiori e uccellini.

Forse è per questo motivo che da un po’ di tempo mi occupo del gattò, mi affascina il lavoro che c’è dietro, il sacrificio e anche la sua connessione con l’identità, la tradizione, le feste.

Per un singolo gattò monumentale occorrono più di 500 fiori fatti a mano, e poi candidi uccellini, e decorazioni con pastiglie di zucchero e palline di zucchero, sa traggera (dal francese dragée, a sua volta dal greco tragemata). Per farlo occorrono mandorle tostate, zucchero, e l'aggiunta di spezie o limone per esaltarne il sapore, dipende dal gusto del maestro dolciario.

Solitamente il gattò che tutti hanno in mente che si trova in vendite nelle pasticcerie o offerto nelle feste private e pubbliche è di forma romboidale, non spennellato di glassa, con una foglia di limone a mo' di supporto. La materia prima è la stessa, ma il gattò monumentale è ovviamente qualcosa di molto più complesso da realizzare.

Se guardiamo alcune foto di qualche decennio fa notiamo che dal secondo dopoguerra la mole del gattò è aumentata notevolmente, o che non era glassato,  dunque era marroncino d'aspetto, e pare si debba proprio a Luigi Sitzia, illustre quartese maestro di pane e di dolci, l'idea e la realizzazione della glassatura del dolce e della sua successiva decorazione con la ghiaccia reale, tanti ghirigori che rendono il dolce come un merletto o ancora una fine ceramica di gusto retrò.

Ipotizziamo inoltre che inizialmente rappresentasse soggetti sacri ma anche profani, castelli appunto, costruzioni, e che nel corso degli anni sia diventato un artefatto con un’estetica più connessa ai simboli cristiani, come le croci, le guglie, i campanili.

Il gattò non è che l'artefatto più evidente nella sua bellezza e vistosità di un sistema di committenza, produzione, circolazione e consumo di pane, pasta, dolci di altissimo livello e valore storico e culturale che ancora esiste in Sardegna e resiste, grazie anche alla caparbietà e intelligenza dei suoi artisti.

Il passaggio del testimone dell'arte del gattò monumentale rimane forse uno degli snodi cruciali; gli artisti del gattò sono persone che hanno imparato facendo nel corso di uno o più decenni, il loro sapere è empirico, implicito e la trasmissione di questi saperi agli artisti quartesi di domani mi pare carica di incertezza, di se e di ma, perché, mi dicono, i giovani non hanno voglia di imparare osservando e facendo con umiltà e per lunghi anni di apprendistato, come invece è successo a chi ha superato da qualche anno o da qualche lustro gli anta.

I gattò fotografati, per il Matrimonio selargino 2010, sono stati realizzati dalla maestra dolciaria sig.ra Anna Maria Sarritzu.

 

Bibliografia di riferimento

A.Guigoni, http://www.etnografia.it/2010/07/27/i-fiori-di-luigi-ovvero-la-festa-de-santu-anni-a-quartu-santelena/