Chiacchierando di gusto

VITE, SUGHERO O LATTICE?

di Bernardo Pasquali

26/11/2007

VITE, SUGHERO O LATTICE? Dopo una importante sessione di formazione che si è tenuta presso il Ristorante Bacco d’Oro di Mezzane, organizzata dall’Assoenologi del Veneto Occidentale e dal Consorzio del Soave in collaborazione con le aziende Albrigi ed Enartis. Durante l’incontro sono state sviluppate le tematiche riguardanti la vinificazione dei vini bianchi in Nuova Zelanda e in Borgogna. Relatori illustri gli enologi Matt Thmpson per la Nuova Zelanda e Kyriakos Kinigopoulos considerato il re del Pinot Noir della Borgogna. Non staremo qui a soffermarci su quanto emerso di tecnico dalle relazioni ma di una parte della degustazione che ci è apparsa molto interessante e ha riguardato la comparazione di uno stesso vino imbottigliato e tappato con silicone, sughero agglomerato e vite. Non ci si deve più scandalizzare del tappo a vite. Probabilmente in Italia è ancora tabù ma in altri paesi con meno storia enologica l’uso degli alternativi al sughero è ormai una realtà ben fondata. E il tappo a vite probabilmente per alcune tipologie di vino è da considerarsi ideale. Lo abbiamo provato durante l’incontro. Abbiamo assaggiato uno stesso vino bianco Soave tappato con i tre sistemi prima citati. Le differenze dopo sette mesi di tappatura si sentono eccome. Cambia addirittura il corredo aromatico e la percezione strutturale del prodotto. Dei tre certamente quello che ha deluso di più è stato certamente il vino tappato con il sughero agglomerato trattato con ghiaccio secco per togliere qualsiasi residuo di TCA, il tricloroanisolo, fatidico responsabile dell’odore di tappo. Il vino era un po’ spento rispetto agli altri due con una percezione olfattiva che portava ad una gamma di profumi più contenuta. Un vino quindi leggermente “sacrificato”. In bocca meno espressivo ma strutturalmente integro con una sensazione aromatica legata soprattutto al frutto e agli agrumi. Il tappo di silicone ha mantenuto una gamma di profumi più ampia ma si sono persi i sentori floreali e quelli di fine mineralità. Ben percettibili invece i profumi di fruttato e di erbe aromatiche. Ma anche in questo caso le sensazioni erano particolarmente calde, evolute, come se quel vino fosse maturato già più velocemente raggiungendo una complessazione aromatica più precoce. Il tappo a vite in effetti tra i tre è quello che è riuscito a mantenere maggiormente l’integrità del vino. Forealità e frutto mediate da una sensazione molto percepibile di erbette fini e di una mineralità delicata. Ma è al palato dove la freschezza la vigorie del vino sono più sincere. Il prodotto è decisamente più fresco e rende giustizia della sua giovinezza. Probabilmente per questo vino è la forma di tappatura più adatta. Quindi avremmo perso qualcosa se quel vino fosse stato tappato in altro modo? Dalla degustazione sembra proprio di sì! Qualcuno in sala, il direttore del Consorzio del Soave, Aldo Lorenzoni si è sbilanciato nel dire che probabilmente anche nella DOC veronese sarebbe giusto iniziare a pensare a forme di chiusura che possano mantenere maggiore integrità al prodotto e freschezza ai vini base. Non tutti la pensavano allo stesso modo logicamente…lo si poteva scorgere dai visi un po’ scettici di molti bianchisti di Soave. Vicino a me Sandro Gini che mi ha confermato la sua contrarietà alla vite. Forse non sarebbe la stessa Froscà nel bicchiere… Ma è opportuno riflettere se e per quanto ancora, almeno sui prodotti di base, sia pensabile un ostaolo psicologico sia per i produttori che per i consumatori. Nemmeno io sono molto convinto della chiusura a vite. Sono certo che probabilmente avrebbe un effetto negativo sulla degustazione. Ma la degustazione di questa sera mi ha fatto pensare a tutte le volte che mi sono bevuto vini un po’ segnati dal tappo, non necessariamente difettato, ma con evoluzioni in bottiglia che probabilmente sono andate oltre per fenomeni di ossigenazione non del tutto controllati. Non so quanti nel Soave o nelle altre DOC italiane potranno seguire la nuova rivoluzione proveniente dal Nuovo Mondo. Chissà se rimarrà solo un sistema legato a poche cantine sociali e se soprattutto dovremo essere costretti a collegarlo sempre e solo a vini di bassa qualità. Sta di fatto comunque che è sempre più palpabile l’emergenza tappi e i produttori non sono più disposti a sacrificare i frutti del loro lavoro solo a causa di un piccolo fungo che non dipende da loro! B

Bernardo Pasquali