Chiacchierando di gusto

La gelatina al rhum del pasticciere gourmet Salvatore Garofalo.

di Mario Liberto

02/07/2018

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Lercara Friddi, terra dei nonni della voce più straordinaria di tutti i tempi Frank Sinatra, paese natale del famigerato Laki Luciano, dei misteri e dei fantasmi di Colle Madore, dell’epopea intrisa di sviluppo e miseria delle miniere, in un silenzio ozioso e trascurato, resiste, una delle gastronomie più interessanti della Sicilia.
Nasce e prolifera, non per caso, ma grazie all’arrivo quasi apocalittico di numerose popolazioni dei paesi viciniori richiamati dall’odore pungente dello zolfo e dalla speranza di sovvertire le proprie sorti economiche, in questa migrazione hanno portano con loro, culture, storie, speranze, ma anche i monumenti gastronomici come la ‘nfriulata, ‘u cudduruni, la pantofola, ecc. di cui la cittadina della Valle del Torto si fregia.
Ma c’è di più. Lercara Friddi ha un’antica tradizione, quasi leggendaria, di una scuola dolciaria il cui capostipite è stato il famoso Luigi Milazzo.
In tempi recenti, degno di menzione, è anche l’abile pasticciere gourmet Salvatore Garofalo, dotato di una creatività esilarante ed una eleganza raffinata di gusto, insieme al fratello Maurizio gestiscono la pasticceria Oriens nel cuore del centro abitato.
In “questa estate che avanza“ Salvatore si è cimentato nella preparazione di una prelibatezza unica, la rivisitazione della gattopadiana Gelatina al rhum, leccornia Ottocentesca che veniva servita a Donnafugata nella residenza estiva del Principe di Salina.
Un trasferimento obbligato che da generazioni veniva mantenuto, un po’ per tradizione e un po’ per rifocillare lo spirito e l’animo, piacere tanto caro alla nobiltà siciliana.
Con l’arrivo del Principe palermitano il castello di Donnafugata apriva le sue porte, una sorta di iniziazione dell’estate, nella quale veniva organizzata una suntuosa cena, sia per rimarcare la generosità nobiliare, sia per ostentare la propria ricchezza. Comunque sia, amici, sudditi e conoscenti, in quella circostanza, ossequiavano il padrone di casa.
“Quella sera, nel salone detto “di Leopoldo”, la famiglia Salina aspettava gli ultimi invitati. Il Principe conosce bene le regole previste dall’alta cucina, ma ama trasgredirle, soprattutto se non compiacciono i suoi gusti. L’usanza di servire un potage come apertura di un pranzo lo imbarazza, come pure fremono timorosi i suoi ospiti nell’eventualità di trovarselo nel piatto. Non vi è, quindi, sorpresa più gradita nel vedere arrivare i tre servitori (di verde, oro e cipria adornati) recare in mano ciascuno un imponente piatto d’argento sormontato dal più troneggiante Timballo di maccheroni, come fosse d’oro brunito rivestito e voluttuosamente profumato di zucchero e cannella. Al taglio rivela il suo prezioso aroma e la grande varietà di ripieno: fegatini di pollo, ovetti duri, sfilettature di prosciutto, di pollo e di tartufi, mescolati abilmente nei morbidi maccheroncini corti. Si susseguono le portate, incalzanti e goduriose, che mostrano con abbondante eloquenza la grande maestria culinaria di Monsù Gaston, il cuoco dei Salina”.
Ma il Principe è in attesa del suo dolce preferito, la gelatina al Rhum, prelibatezza che il buon Giuseppe Tomasi di Lampedusa ha reso proverbiale.
“Alla fine del pranzo venne servita la gelatina al rhum. Questo era il dolce preferito di don Fabrizio e la Principessa, riconoscente delle consolazioni ricevute, aveva avuto cura di ordinarlo la mattina di buon’ora. Si presentava minacciosa, con quella sua forma di torrione appoggiato su bastioni e scarpate, dalle pareti lisce e scivolose impossibili da scalare, presidiata da una guarnigione rossa e verde di ciliegie e di pistacchi; era però trasparente e tremolante ed il cucchiaio vi si affondava con stupefacente agio. Quando la roccaforte ambrata giunse a Francesco Paolo, il ragazzo sedicenne ultimo servito essa non consisteva più che di spalti cannoneggiati e di blocchi divelti. Esilarato dall’aroma del liquore e dal gusto delicato della guarnigione multicolore, il Principe se la era goduta assistendo allo smantellamento della fosca rocca sotto l’assalto degli appetiti.
a veniamo alla degna rivisitazione di questa esilarante sicilianissima leccornia.
La Gelatina al rhum è arricchita dall’essenza di cannella, adagiata su di un letto di pistacchi agrigentini e mandorle pralinate di Vicari impreziosita dal profumo di menta e adornata da due ciliegie cappucce di Chiusa Sclafani, il tutto servito in un bicchiere mezzopiano.
Un dolce che rievoca gli antichi casati nobiliari siciliani, olfattivamente fresco, leggiadro, non invadente, mentre, al sapore, i vari componenti si amalgamano con un equilibrio armonico, non invadenti, equilibrati che si spalmano e placano all’interno della cavità orale senza punte di esaltazione dolciastre o fughe sdolcinate. Il retrogusto è equilibrato durevole e ben armonizzato. Un dessert che va consumato nei caldi pomeriggi estivi quando il sole non dà tregua e si sente il bisogno di trovare un momento di refrigerio.
 Anche il secondo dessert sempre alla Gelatina al rhum  ribattezzato di mezza estate, è arricchito di salsa di cannella al ruhm, con pistacchi e mandorle come il precedente, adagiata su bacche di vaniglia e menta peperita, intonato al sapore e al gusto della precedente, anche se, quest’ultima, manifesta una nota olfattiva più intensa e duratura. Al palato evidenzia un’insistente delicatezza gustativa ed un equilibrio sensoriale.
Insomma, il principe Salina trovandosi a passare da Lercara Friddi con il suo codazzo e fermandosi a degustare il suo dolce preferito, non avrebbe niente da ridire al pasticciere gourmet Salvatore Garofalo, e sicuramente, mentre degustandolo dà  segni di approvazioni con la testa, avrebbe fatto mordere le labbra al Monsù Gaston, eloquente e maestro di cucina della nobile famiglia di Don Fabrizio Corbera, principe di Salina, duca di Querceta e marchese di Donnafugata. 
 
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