Chiacchierando di gusto

FESTIVITA’: ANTROPOLOGIA e CULTURA

di Sandra Ianni

08/12/2008

Le festività natalizie rappresentano feste molto importanti non solo per il profondo significato religioso che sottende nella nostra cultura ma anche per il valore assunto dai tradizionali convivi dal punto di vista antropologico e culturale. Per quanto sia quasi impossibile risalire, con certezza, al giorno della nascita storica di Gesù, dal IV secolo d.C. una tradizione lo mette in calendario al 25 dicembre e, come per altre feste religiose, esiste una serie di tradizioni legate alla natività che hanno forti legami con il passato pagano. Le festività natalizie rientrano, infatti, nell’arco temporale di un ciclo di feste di fine anno, connesse con il solstizio d'inverno, un evento che nelle culture pre-cristiane veniva celebrato con grande enfasi, e con le grandi feste dell’anno nuovo tipico di molte società contadine dominate da un’economia cerealicola e quindi caratterizzate da offerte rituali di cibi. All'interno di un arco temporale estendibile fino al Carnevale, che va dal 6 dicembre, giorno di san Nicola, al 17 gennaio, dedicato a sant'Antonio abate, si inseriscono le celebrazioni di Santa Lucia, Natale, Santo Stefano, Capodanno e l'Epifania. I riti di queste feste sono simili ed intercambiabili, sia che si svolgano nel nome della Befana sia in quello di San Nicola, tutto risponde al bisogno di persistere attraverso il succedersi ciclico delle stagioni ed alla esigenza di dominare l'ignoto. A tal fine, ogni cultura mette in atto alcune strategie possibili e la festa è la principale di esse. Il suo scopo è quello di rassicurare e proteggere. La festa assume i connotati di un momento in cui il tempo è sospeso, in cui tutto può accadere ed i festeggiamenti sono interpretabili come liberazione dal male e dalla paura dell’ignoto. Le società, come la natura, hanno il bisogno di rinnovarsi, di liberarsi dal passato, ed il rinnovamento è propiziato attraverso la riconfermata alleanza degli uomini con le forze naturali e con quelle soprannaturali. Un tema ricorrente nei festeggiamenti solstiziali è infatti il fuoco; i falò, le fiaccolate natalizie, ma anche i fuochi artificiali, le candele, il ceppo natalizio e le luci dell'albero, hanno la loro ragion d'essere nell’arcaico culto del sole per cui il Natale cristiano si sovrappone ad esso, integrando al suo interno anche elementi dei Saturnali, feste romane di metà inverno, caratterizzate da orge e banchetti. Questi giorni speciali sono anche i più indicati per la pratica della divinazione, si ritiene di poter pronosticare l'andamento dell'intero anno osservando precise regole comportamentali, interpretando segni, o mettendo in atto rituali individuali e collettivi. Ogni cosa in questo periodo è magica e significativa. Gli oggetti e gli elementi legati alle festività acquisiscono un immenso potere che li trasforma in amuleti o in strumenti terapeutici validi per tutto il resto dell'anno, esempi non mancano: dal mazzetto di vischio alle mutande rosse. Anche per l’aspetto cristiano si raccomanda di santificare le feste, di prendere parte ai momenti liturgici e si ribadiscono i principi ispiratori della fede e soprattutto la loro effettiva pratica.
E se è una festa, che festa sarebbe senza investire anche la tavola ed il cibo? Soggetti fondamentale in ogni festa l'abbondanza e la ricchezza dei cibi servono a propiziarsi un anno favorevole, a ringraziare il divino per quanto ricevuto. La profusione delle carni farcite e dei dolci, sottolineano la separazione fra alimento rituale e quello nutritivo. I pranzi di Natale o di Capodanno non si risolvono con un semplice elenco di portate; ciò che li rende speciali è l'insieme delle attenzioni che si rivolgono a tutte le fasi della loro preparazione. Cucinare i piatti della tradizione, apparecchiare curando tutti i dettagli, in alcuni casi le preghiere, lo scambio dei doni, rimanere a tavola più a lungo del solito, tutto ciò contribuisce a trasformare il pasto in banchetto rituale. Anche i tempi dell'assunzione del cibo non seguono i ritmi naturali poiché il “calendario alimentare” delle feste natalizie è estenuante nel suo alternare digiuni, privazioni e grandi abbuffate. Anche gli alimenti natalizi esulano dall’ordinario, come ad esempio i pani ricchi, conosciuti già al tempo dei Saturnali, quando vigeva l'abitudine di donare il “sigillarium”, un impasto di farina arricchito da miele e frutta secca. Da allora, lo scambio di pani, sia dolci che salati, nelle infinite varietà presenti in tutti i paesi, era una consuetudine, che compare in molte cerimonie di offerta diretta alla divinità, a testimoniare l'importanza attribuita al pane opportunamente lavorato. Le carni, farcite o in crosta, sono un'ulteriore costante dei pasti di fine ed inizio anno, così come i pesci interi. In ogni paese vi sono particolari che guidano il consumo verso l'uno o l'altro alimento, ad esempio i legumi, le granaglie, la frutta secca, l’uva, la melagrana indicano il desiderio di prosperità e fecondità e si ritrovano in tutti i menu tradizionali. Il pane più ricco, più grande e più alto del solito, doveva accompagnarsi la carne, alimento che rappresentava l’abbondanza, cucinata nelle diverse ricette regionali sia nei “primi” che nei “secondi” piatti. Altra protagonista indispensabile della festa è la minestra col brodo di carne, dove nuota pasta ripiena, anch’essa sinonimo di ricchezza, mentre il piatto centrale era il cappone mentre il simbolo più festoso della tradizione era rappresentato dai dolci, ai quali la collocazione al termine del convivio, affidava l’onore della gloria finale. Anticamente era il miele a costituire “l’offerta dolce” per eccellenza, perché si riteneva propiziasse la “dolcezza” del nuovo anno. Il banchetto festivo e le offerte alimentari sono forse la parte più visibile di tutto questo complesso rituale e certo quella che più a lungo è sopravvissuta. La ragione di tanta fortuna è nel fatto che essa incorpora antichi significati in atti dall'apparenza banali, attraverso cui passano però, inconsciamente, da una generazione all'altra, i fondamenti della nostra cultura. Dal pranzo di Natale ai banchetti, dalle sagre di paese alla mensa aziendale, tutti sono momenti di convivialità in cui coloro che mangiano insieme diventano compagni, da companio, ovvero cum-panis, compagno di pane, ed appunto colui che condivide e quindi appartiene alla stessa comunità. Il cibo, infatti, se da una parte è principalmente nutrimento, dall’altra è fondamentalmente cultura.

 

Sandra Ianni