Parliamo di vino

Cantina Castello di Torre in Pietra

di Francesco Rovida

24/12/2008

Se ci trovassimo in Francia saremmo nella perfetta situazione in cui alla definizione di “Chateau”, attribuita all'azienda vitivinicola, corrisponde anche la reale presenza di un Castello.
Siamo, invece, nella campagna romana, all'interno del Comune di Fiumicino, forse più noto per la presenza dell'aeroporto che per la coltivazione della vite, presente in ogni caso nella zona da tempo immemorabile: un documento del secolo XVI attesta la produzione di uva nella zona del Castello, quando i terreni erano proprietà della famiglia pontificia dei Peretti.
L'azienda agricola Torre in Pietra Leprignana conta oggi 186 ettari, di cui 50 coltivati a vigneto, 5 a oliveto e i restanti a seminativi. Si tratta di un'impresa agricola storica della zona, acquistata negli anni '30 del secolo scorso da Luigi Albertini, direttore e proprietario del “Corriere della sera”, che introdusse nella zona le vacche pezzate nere, dal cui latte nacquero i prodotti denominati appunto “Torre in Pietra”.
Oggi è diretta da Filippo Antonelli e Lorenzo Majnoni, figli delle sorelle Carandini, eredi della famiglia di Luigi Albertini e dispone di una cantina di vinificazione all'interno del borgo medievale di Torre in Pietra, scavata nel tufo e capace di circa 8000 ettolitri di vino (anche se la produzione annua, esclusivamente da uve di proprietà, non è ancora arrivata a questi livelli).
Vengono prodotte sei etichette principali, tre delle quali nell'ambito della denominazione di origine “Tarquinia”, alle quali vanno aggiunte due tipologie di spumante metodo Charmat (un bianco da uve Chardonnay e un rosso dolce da vitigni aromatici) e il Lazio IGT Pagliaccetto novello, prodotto con la tecnica della macerazione carbonica da Montepulciano e Sangiovese. Se a questi prodotti aggiungiamo la Grappa di Merlot e l'olio extravergine di oliva, come anche alcuni prodotti cerealicoli, ci accorgiamo di essere di fronte ad una realtà produttiva di tutto rispetto, sul piano qualitativo e quantitativo.
Ma vediamo di conoscere un po' meglio i vini prodotti.
Iniziamo con il Tarquinia DOC bianco, da Trebbiano e Malvasia, secondo la migliore tradizione laziale, con l'aggiunta di Vermentino. La vinificazione avviene in acciaio a temperatura controllata, con una lunga permanenza sui lieviti per il giusto arricchimento aromatico; il vino risulta sorprendente per la ricchezza di aromi fruttati, floreali e vegetali e di notevole struttura gustativa in relazione alla tipologia.
Discorso analogo anche per il Lazio IGT Chardonnay, frutto di vinificazione in purezza, che presenta le caratteristiche tipiche del vitigno, arricchito dai caratteri quasi salmastri frutto dei terreni franco-sabbiosi in cui crescono le viti e della vicinanza al mare.
Interessante, soprattutto in periodo di rivalutazione dei rosati, il Tarquinia DOC rosato, da Sangiovese (60%) e Montepulciano (40%), vinificato con la tecnica della criomacerazione sulle bucce per 12 ore, come per un vino bianco. Il risultato è un vino fresco e beverino, con note fruttate piuttosto accentuate, che strizza l'occhio ad aperitivi estivi, senza farsi da parte neppure di fronte a qualche piatto di pesce più elaborato.
Passando ai rossi, partiamo dal Tarquina DOC rosso, da Montepulciano e Sangiovese in parti uguali, ai quali si aggiunge un 20% del laziale Cesanese. La vinificazione prevede l'utilizzo di contenitori inerti e offre un prodotto di buona intensità, piuttosto morbido ed equilibrato, decisamente superiore nelle caratteristiche organolettiche a vini della stessa “categoria” che circolano nella zona o in altre regioni dell'Italia centrale, utilizzando il binomio Sangiovese-Montepulciano.
Il Lazio IGT Syrah è il primo dei due rossi che prevedono l'uso del legno per l'affinamento. In questo caso, soltanto una percentuale del vino (il 25%) effettua un passaggio delicato di sei mesi in barrique, per conferire maggiore morbidezza al prodotto, che si presenta piacevole nei toni varietali, con una certa prevalenza dei sentori erbacei. La trama tannica non è assolutamente invadente (anzi, forse lo è troppo poco) e il finale regala un persistenza aromatica lunga. Da notare il fatto che l'etichetta riporta il disegno di un mammuth, a memoria del fatto che nella cantina del Castello sono state ritrovate due zanne.
Il Terre di Breccia, Lazio rosso IGT, costituisce il vino di punta. Si tratta di Merlot in purezza, coltivato in un unico vigneto con esposizione a sud (Breccia, appunto). Dopo la fermentazione alcolica a temperatura controllata, la malolattica viene svolta in carati di legno, all'interno dei quali avviene per 9 mesi anche l'affinamento. Dopo l'imbottigliamento sosta altri 9 mesi in bottiglia, prima di essere messo in commercio. Un vino che si fa aspettare per oltre un anno e mezzo dalla vendemmia e che risulta decisamente più strutturato ed impegnativo dei precedenti. La degustazione ci presenta un vino con aromi intensi e molto fini, in cui prevalgono i sentori fruttati ed erbacei varietali, unitamente alle note speziate acquisite nell'affinamento.
Un'occhiata al listino dei prodotti, che si possono acquistare direttamente in Azienda, colpisce per la politica dei prezzi contenuti: tutti entro i 10 euro, con prevalenza di prodotti che si fermano prima dei 5!
La bella collocazione, comodamente raggiungibile da Roma, ma immersa e quasi nascosta nel verde della campagna alle porte della Città eterna, rendono l'azienda agricola Torre in Pietra una tappa sicuramente appetibile per il turismo enogastronomico e per i consumatori che desiderano conoscere direttamente chi produce.

 

www.castellotorreipietra.it 

Francesco Rovida

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